Testimonianza di Don Carmelo Guarini

“Eravamo amici fin da quando frequentavamo l’università, e le sere d’estate conversavamo passeggiando sotto la villa comunale. Il gruppo era eterogeneo: chi apparteneva all’Azione Cattolica, chi era comunista, chi alla ricerca di qualcosa di nuovo. Mino aveva in mente di portare lo scautismo a Mesagne, dopo aver approcciato altre esperienze, per esempio quella della Pro civitate di Assisi.
Ora, la memoria del passato si muove tra cielo e terra, meglio ancora tra detto e non detto.  Così riprendiamo il dialogo da dove si era interrotto. Lo scautismo è divenuto un fenomeno rilevante in città, grazie alla passione che avevi messo per portarcelo. E anche da medico hai continuato a donare tempo ed energie per farlo crescere. Lo scautismo ha dato un notevole contributo alla crescita umana e civica delle persone. Quello che non vedevo, e che ti facevo notare come una mancanza, era la crescita della personalità cristiana, appiattita sul rito (come d’altronde le altre associazioni cattoliche) e sulla crescita umana più che sulla crescita spirituale, che è sempre creativa e forma la personalità completa, perché azione dello Spirito Santo.
Riprendiamo il dialogo, o per dirla più discretamente, la conversazione amichevole!
Un pomeriggio di inizio secolo sei venuto a casa a trovarmi, non da medico ma da amico, e mi hai detto: <<Devo fare il moderatore al Consiglio Pastorale Vicariale e non riesco a capire bene i parroci.  Che fare?>>.Siccome ero  divenuto nel tempo un prete anti-clericale (mio malgrado, infatti sono stati gli eventi a condurmi sul quel versante), dopo essere stato da giovane seminarista molto clericale (chiuso alla laicità,  e a mio agio nella casta), ti ho detto soltanto una cosa  che va molto bene sia per i laici e sia per i preti: <<Infiamma un po’ di laici al Vangelo e vedrai che voi laici potrete curare e addirittura guarire la nostra malattia clericale (che potrebbe essere anche la vostra), ossia la mediocritite.>> Avevamo dunqueun lavoro comune: curare le malattie, tu quelle del corpo, io quelle dell’anima.  Per la verità va detto che l’essere umano va curato integralmente, sia nel corpo che nell’anima; ed ogni vera cura tiene presente sia la dimensione corporea che quella spirituale.
I doni tra amici sono gratuiti e disinteressati.  Un tuo dono (che in verità mi è servito, perciò ho continuato a praticarlo) è stato quello del medico: <<Mangia verdura cruda e cotta.>> Spero che anche il mio dono ti sia stato utile, in quanto lo spirituale è sempre concreto.

Un evento storico, che ho raccontato in seguito molte volte, a te lo avevo narrato per la prima volta, perché potessi destreggiarti meglio tra il laicismo dei laici e il clericalismo dei preti.    “Siamo in Inghilterra tra il 1100 e il 1200. In gioco c’è una lotta tra le prerogative della Chiesa e le prerogative dello Stato (il regno d’Inghilterra). La storia conosce un lieto inizio: due amici, molto affiatati tra loro, hanno ricevuto dal destino la sorte di divenire complici e protagonisti di un successo temporale, e poi antagonisti per un evento epocale dello spirito non solo nella loro patria ma in tutta Europa.   Sono: il re d’Inghilterra Enrico II Plantageneto, e il futuro arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket
Un evento storico emblematico ti può far cogliere un tratto fondamentale della teoria politica e della teologia cristiana: non confondere le ragioni di Dio e le ragioni di Cesare! Più ancora nello specifico: uno scontro di idee e di visioni non può essere ridotto ad uno scontro di caratteri. Thomas Becket lo testimonia nel 1170, quando viene colpito a morte nella sua cattedrale: <<Io muoio per la libertà della Chiesa.>>  Ci si può chiedere se quella morte fosse stata necessaria, oppure se poteva essere evitata.

Anselmo d’Aosta, predecessore di Becket a Canterbury, così si era espresso: <<In Inghilterra ci sono due buoi a tirare il carro del potere: il re e l’arcivescovo di Canterbury>> (citato da Eadmero nella Historia Novorum in Anglia). Anselmo era andato due volte in esilio per difendere le prerogative della Chiesa di fronte al re che ne voleva ridurre la libertà giuridica e amministrativa. L’arcivescovo Teobaldo, immediato predecessore di Becket a Canterbury, cambiò strategia nei confronti del re: evitò lo scontro frontale, senza rinunciare a difendere la libertà della Chiesa, o per meglio dire, giocò d’anticipo sul re. 
Il papa Alessandro III, canonizzando Thomas Becket nel 1173, a soli tre anni dalla morte, ne aveva fornito anche la motivazione: “pugnavi usque ad mortem pro iustitia Dei et Ecclesia”.  Ma il papa non faceva che ratificare la voce del popolo: infatti c’era stato in quegli anni un pellegrinaggio ininterrotto da tutta Europa sulla tomba dell’arcivescovo martire; e anche tanti miracoli erano avvenuti per l’intercessione dell’arcivescovo martire.
Torniamo al racconto, per capire come si fosse giunti a quell’uccisione. Quando inizia il conflitto tra il re e l’arcivescovo? Tommaso Becket aveva studiato a Parigi, ma senza terminare gli studi. Lo ritroviamo, un po’ di tempo dopo, al servizio dell’arcivescovo Teobaldo, il quale lo invia a Bologna, l’Alma Mater studiorum, perché potesse approfondire la “Concordia discordantium canonum” di Graziano. Teobaldo aveva su Becket un suo progetto, che mise in atto quando nell’anno 1154 Enrico II Plantageneto divenne re. Il primate d’Inghilterra, essendo consigliere della Corona, fece in modo che Becket diventasse cancelliere del regno. Tra il re e il cancelliere si creò un’intesa perfetta sulle questioni giuridiche e amministrative. La passione della caccia con il falco (abilità, velocità e sicurezza con cui il falco si lancia sulla preda senza lasciarle scampo), è figura della gestione del potere.   L’esibizione pubblica del potere crea tra i due (tra il re ed il suo cancelliere) una complicità che sembra destinata a mietere successi. Invece l’amicizia si sgretola all’ improvviso, nel momento in cui Thomas Becket è consacrato arcivescovo di Canterbury, alla morte di Teobaldo. Il re vuole che Thomas Becket rimanga   cancelliere del regno (Enrico II ha ambizioni autocratiche); ma l’arcivescovo è inflessibile. Difenderà sino in fondo “la verità” di fronte al re che chiede all’arcivescovo   la sottomissione alle “antiche consuetudini”. L’arcivescovo, primate d’Inghilterra, dopo soli otto mesi è costretto a scegliere l’esilio in Francia, che durerà più di sei anni.  Il duello tra il re e l’arcivescovo finirà soltanto con la morte di quest’ultimo. Nel sedicesimo secolo un altro fatto, anzi due rendono testimonianza alla verità di Thomas Becket: Enrico VIII, facendo decapitare il suo cancelliere (questa volta è un laico sposato) Thomas More, dopo aver fatto profanare la tomba dell’arcivescovo martire e disperdere le ossa (perché non rimanga memoria del martirio), si autoproclamava capo della chiesa d’Inghilterra. Thomas Becket aveva fatto dono all’Inghilterra di altri tre secoli di cattolicesimo.  Tommaso Moro aveva tentato, in tutti i modi, di mantenere il cattolicesimo nel Regno Unito, sino a pagare con la vita, ma non vi riuscì.”.
Ci sono situazioni, poste dal destino e dalle circostanze che lo assecondano, in cui si è di fronte al bivio: salvarsi da soli o salvare il tutto, guarire dall’egocentrismo oppure esasperarne la crescita sino alla catastrofe. Thomas Becket è costretto a sei anni di esilio in Francia, dopo soli otto mesi nella sede di Canterbury, perseguitato dal re che vuole la sua piena sottomissione. Di ritorno alla sede di Canterbury, nell’anno 1170, verrà ucciso nella cattedrale da quattro cavalieri, che avevano interiorizzato l’odio del re, ma che non erano stati mandati dal re a uccidere l’arcivescovo primate d’Inghilterra. Tommaso Moro, cancelliere di Enrico VIII, dal patibolo il 6 luglio 1535 pronunziò queste parole: “Muoio suddito fedele del re, ma innanzi tutto di Dio”. Non aveva tradito né l’uno né l’altro, rimanendo fedele a se stesso, considerando questa fedeltà più importante della vita biologica.”.
La storia è importante quanto la pedagogia: l’una e l’altra hanno la funzione o il compito di formare l’essere umano alla socialità piena. Nelle epoche di decadenza, questa missione è trascurata; non lo è invece nelle epoche storiche nelle quali i valori dello spirito vengono ritenuti essenziali rispetto al degradante cretinismo economico.
La conclusione di una vita corrisponde all’approfondimento del suo inizio.  Conoscenza dello spirito del tempo e risposta di coscienza a quello spirito sono due fattori fondamentali del rischio e del successo educativo. Ed è questo: “Se non sono pronto ad essere crocifisso per la verità, rischio di creare il mito di me stesso. Se ho scoperto in tempo che il mio Io è inaffidabile, è all’Altro che consegno il mio destino di vita”.  L’uomo naturale non basta per ricreare comunità. Il cristianesimo lo ha sempre creduto, e non ha mai cessato di ricordare ai cristiani che l’uomo spirituale lo si può edificare soltanto aderendo alla pratica quotidiana del Vangelo.”