“La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione”

di Gianni Sardelli

Da quando Mino ci ha salutato, siamo in tanti a chiederci chi era quest’uomo, cosa avesse di così speciale da renderlo unico al punto da essere considerato da tanti una “persona significativa”, un uomo autorevole, oggi si direbbe un “Testimone del nostro tempo”.

A tanti di noi che con la chitarra accompagnavano le serate intorno al fuoco, chiedeva della Libertà di Gaber e forse proprio questa è una delle essenze di Mino: amava questa canzone dove la libertà è declinata in condivisione, in ascolto ed essere ascoltati, nell’essere parte integrante di un progetto unico rappresentato dall’intero collettivo terrestre di cui ogni singolo uomo ne è parte integrante, animale o albero, una libertà fatta di silente quotidiano, non un gesto insolito o un’invenzione.

Una sera, intorno a 4 funghi raccolti nel bosco, davanti a qualche tenda ci ha parlato di felicità e di come Baden Powell la coniugava: “La propria felicità è rendere felici gli altri e procuratevi di lasciare questo mondo migliore di come lo avete trovato …”. Ci aveva parlato di una felicità che trova radice nell’altro fuori da se stesso e non nel proprio egocentrismo, di una felicità che tende a cambiare ciò che ti circonda spingendo l’uomo ad essere protagonista di un mondo migliore, un uomo che porta valore aggiunto nell’ambiente in cui è chiamato a vivere e operare, un uomo che può fare la differenza.

Forse nella sintesi tra questa visione di Libertà e di Felicità, in questo tratto di congiunzione immaginario, potremmo trovare l’inconsapevole radice di Mino, uomo, amico, educatore sviluppatasi all’ombra di un rilevante uomo di cultura, grande maestro di fede e di Vita come Don Daniele. Pensiamo e diciamo inconsapevole perché nel suo agire quotidiano la semplicità e l’essenzialità era il suo stile e ogni momento del suo essere appariva nella natura delle cose – ogni cosa era naturale che fosse così o comunque le motivazioni che adduceva erano sempre profonde e condivisibili.

Le discussioni con lui non erano mai banali e la sua capacità di “volare alto” riusciva a coniugarla con la concretezza del quotidiano e dei piccoli gesti; non è semplice coniugare pensiero e azione, ma il suo coinvolgimento diretto su tanti fronti ne è la testimonianza. “Vedere, Giudicare ed Agire” era il paradigma della sua libertà e non esitava a radicare ogni sua analisi ogni visione di futuro nel Vangelo, da vivere qui sulla terra e da qui le sue scelte!

Riusciva a dialogare con i grandi e con i piccoli, dall’alcolizzato che incontrava in piazza al notabile impettito; per ognuno un suo pensiero o una sua ironia ma sempre con un filo di speranza cristiana per tutti. 

Ogni sua relazione era costruita sulla fiducia dell’altro “fino a prova contraria”; ricordiamo la polemica di noi ragazzi quindicenni quando lui voleva dare la gestione della cassa a un ragazzo notoriamente rischioso e noi ci opponevamo per evidenti rischi ma lui diceva che ad ogni uomo bisogna dare un’occasione di cambiamento, un’occasione per dimostrare che l’impossibile può essere possibile e a distanza di tanti anni dobbiamo riconoscere che ha avuto ragione.

Lo stile del “Vedere, Giudicare ed Agire”, il coraggio e la determinazione, hanno portato Mino sulle Frontiere del suo tempo, sui luoghi in cui si vivono le contraddizioni dell’uomo contemporaneo; posti in cui si tocca l’intimo dell’essere umano con tutte le sue povertà. Lo ha fatto con spirito di avventura ma non da avventuriero, lo ha fatto con la discrezione e rispetto di chi viveva quella realtà, lo ha fatto nonostante i tanti benpensanti. Su queste strade ha portato tanti suoi ragazzi, ponendo nei loro cuori emozioni ed esperienze che si riverbereranno per tutta la loro vita, anzi la nostra vita.

L’esperienza nei campi profughi in Slovenia al termine della guerra nei Balcani, Auschwitz e i confini dell’Est, il lancio insieme all’amico Michele Pignatelli dell’operazione “Volo D’Aquila” in Albania nell’orfanotrofio di Valona, la Comunità per Tossicodipendenti di Restinco, l’impegno con Libera e la lotta alle mafie, la scelta negli anni 80 di rimanere con il gruppo Scout nella “Mesagne vecchia” allora terra di nessuno e preda del degrado, l’incontro con il mondo missionario in Kenia e in Uganda, l’impegno politico e il Centro di Accoglienza per minori, solo per citarne alcune.

Ma Mino era anche spensieratezza e ironia (a volte dissacrante), convivialità e gioia, condivisione e senso di avventura; sarcasmo e profondità di pensiero, saggezza del cuore e incoscienza del genio: sapeva sorridere nei momenti avversi.

Era un laico profondamente radicato nel Vangelo, figlio consapevole di una Chiesa universale e conciliare.

Cosa ha fatto Mino

Mino ha saputo ascoltare le voci del suo tempo e ha saputo parlare a generazioni di giovani che hanno trovato in lui la significatività di un testimone, l’amore di un uomo che gli voleva bene perché figli e fratelli nello stesso Dio. Certo non era un uomo facile e il rapporto con lui era spesso spigoloso e duro ma alla fine lo stimolo educativo passava e tu percepivi che il suo agire era a fin di bene! La sua generosità la misuravi nel tempo che dedicava a chi era in difficoltà ma anche nel suo disinteressato coinvolgimento che spesso lo spingeva a farsi carico in prima persona e in solido di problematiche di notevole entità. 

Nell’arte della semina si può racchiudere il vissuto di Mino, costanza e pazienza, ritmo e gestualità arcaica, rispetto e silenzio, amore per la propria terra.

La culla del suo agire è stato il centro storico e la Chiesa Madre! Ha guardato con occhi profetici le radici della nostra cultura contadina, dall’idea di condividere con un gruppo di amici un ambito dove riscoprire la cucina povera fino a guardare all’allora cadente Piazza Commestibili come salotto della nostra città, dando concretezza a idee che oggi danno lavoro ad intere famiglie.

Quale eredità

A noi spetta raccogliere ciò che lui ha seminato e imparare quest’arte per dare continuità all’opera arcaica. Spetta a noi presidiare le frontiere di questo tempo, capire le strade da indicare ai nostri giovani, essere fedeli a un Vangelo che abbiamo condiviso in tanti momenti, non ultimo il cerchio che con un gruppo di amici abbiamo condiviso insieme a lui e al compianto Don Angelo qualche ora prima della sua morte; abbiamo pianto in silenzio sapendo che era l’ultimo momento di condivisione!