Testimonianza di Fabio Perrucci
L’Amico di mio Zio
Sarà stato un pomeriggio di primavera inoltrata, avrò avuto 7/8 anni, venni invitato/catapultato da mio zio nella Fiat 126 giallo fiammante di mia madre: “Vieni ti porto a vedere gli scout”, mi disse G. con entusiasmo.
La strada che percorremmo era a me familiare: era la stessa che ogni estate facevamo con i miei genitori per raggiungere i nonni in campagna ed andare al made ad Apani. Dopo aver costeggiato un lungo muretto a secco ci ritrovammo all’ingresso di un Bosco in una piccola radura. Alle spalle una struttura alta e possente, in lontananza una casa grandissima rossa. Anni dopo seppi che quel posto si chiamava “castello Acquaro” e quello era il famoso bosco dell’Acquaro.
Scesi dalla macchina, andammo incontro ad un gruppo di ragazzi affaccendati: chi piegato, chi correva a destra e sinistra, chi custodiva un fuocherello con sopra una pentola appesa. Ero frastornato, incuriosito, impaurito, incredulo. Non sapevo più dove guardare. Attraversavamo quel marasma di colori, odori e suoni mentre G. salutava tutti e ci avvicinammo ad un giovane piegato di spalle che accendeva un fuoco sotto un pentolone con intorno altri tre o quattro ragazzi.
Mino si girò verso di noi, salutò G., salutò anche me. Poi si alzò e con G. iniziarono a parlare mentre presero a girovagare per quel piccolo campo. Non sapevo chi fosse, non seguii i loro discorsi né mi incuriosì tanto il soggetto (ero troppo attratto dal contesto e troppo piccolo per apprezzare le parole e le sfumature di chi avevo di fronte). Quel giorno non sapevo che prima o poi le nostre strade si sarebbero incrociate. Quella foto di lui piegato sulle ginocchia con intorno qualche ragazzo è rimasta ferma lì nella memoria e lo rivista dal vivo centinaia di volte.

Lu Mietucu
Ho rivisto Mino la seconda volta in campagna dai miei nonni ad Apani. Non ricordo quanto tempo fosse passato dal primo incontro: forse mesi, forse qualche anno. Ricordo però il fervore dei preparativi di quella giornata. La nonna sin dal mattino iniziò a cucinare e anche mia madre e mia zia erano state coinvolte nell’organizzazione del pranzo “cu l’amicu di G., lu mietucu”. Mino non arrivò da solo; insieme con lui c’erano anche i suoi familiari. Non ricordo cosa mangiammo quel giorno (posso solo immaginare), ma ricordo che la zia con mia madre e i nonni continuavano a dire a G. quanto fosse spassoso, alla mano, preparato, cordiale e di buona forchetta Mino. Parole per me vuote e offuscate nella mente: ero troppo preso a giocare nella terra con i miei cugini e a correre per la campagna. Ma sempre ho sentito mia nonna e mio nonno chiedere a zio G. “Comu stai lu mietucu”?

Anticipazioni
Da piccolo non ho frequentato gli scout! Pur avendo in famiglia uno scout non ho avuto il coraggio di fare quel salto oltre la staccionata; sono andato solo ad una riunione di reparto: ero piccolo, timido e timoroso, non conoscevo all’epoca i meandri oscuri, misteriosi e affascinanti del centro storico del mio paese, non conoscevo la forza della squadriglia e i legami che si possono costruire. La vita all’aria aperta però mi piaceva, trascorrevo tutta l’estate in campagna dai miei nonni, senza luce, con acqua razionata, a lavorare e giocare sotto il sole da mattina a sera, spesso in compagnia di un piccolo coltellino svizzero regalatomi dai miei genitori durante un viaggio in Germania.

Avevo, scusate l’eresia, tutti i manuali delle giovani marmotte e purtroppo mi dovevo adattare e un libro chiamato “manuale dei ragazzi” che era una sorta di manuale scout. Se avessi avuto “scautismo per ragazzi” forse avrei trovato il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Ma come appresi molti anni dopo grazie al mio capo clan e leggendo la bibbia: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”
E così fù, avevo poco più di 18 anni quando partii per Torino affidandomi e affiancandomi ad A. mio compagno di classe alle scuole superiori. Eravamo molto diversi noi due eppure trovavo feeling e sintonia grazie ad un’esperienza che lui viveva da anni: era uno scout. Da quando partimmo a settembre fino a dicembre fu quasi per me un’iniziazione. A. mi raccontava di tutto sul mondo scout e sulla vita scout. Di campi, di avventure, incontri e soprattutto di capi, questi strani adulti che si sanno mettere in gioco con i bambini. Spunto così il suo nome, il nome di MINO, e iniziarono i racconti di questo capo, medico un po’ sui generis, un adulto che sapeva ascoltare, dare fiducia, testardo, puntiglioso che sapeva trovare sempre le soluzioni e le risposte e che anche quando sbagliava strada era capace di dire che aveva cambiato solo percorso. A dicembre, quando tornammo a casa per le vacanze di natale, ero pronto per vivere quell’esperienza che non avevo fatto prima di allora con una nuova consapevolezza e soprattutto dopo aver letto “scautismo per ragazzi”.

Prima riunione
Arrivai in moto sotto la sede dell’immacolata. Varcai la porticina verde sgarrupata e sali le scale ripide e buie della sede. Avevo un po’ di timore, avevo imboccato il secondo step del rituale. “Chi troverò sopra?” fu la prima domanda che mi posi; “Speriamo che ci sia già A. e gli altri” pensai, invece superata la seconda porticina trovai te con il tuo solito pullover blu e celeste a strisce. Stavi preparando la stanza per la riunione, sistemando le sedie in cerchio e rimettendo in ordine opuscoli di carta. Mi accogliesti con un sorriso sincero e cordiale iniziando già a darmi del tu, fugando ogni tipo di imbarazzo. Iniziammo a parlare anzi meglio lui iniziò a parlare ed io ad ascoltare rapito: l’esame di maturità, Foscolo, Leopardi, gli scout, le route, i campi, i libretti, i ragazzi, le ragazze, la sede, la raccolta della carta, chilometri di parole, miriadi di immagini, il tutto condito dal gusto dell’avventura. Due settimane dopo ero in Route con il clan delle Ginestre.

Da quel dicembre del 1993 Mino è diventato prima il mio capo-educatore, il mio medico di fiducia, il mio amico, il mio compare.
Mino era un eclettico, si cimentava in diverse discipline sapendole coltivare con passione e competenza, mettendo in pratica quello che aveva appreso da sempre attraverso il metodo scout: era un bravo fotografo, un ottimo cuoco e una buona forchetta, sapeva recitare, era un buon oratore, appassionato di collezionismo dai più classici (francobolli, cartoline, cartoline di soldati partiti in guerra, riviste specialistiche), alle collezioni più strane (schede telefoniche, bustine di zucchero), capiva di economia, aveva il senso del bello e dell’artistico: ogni volta che osservava qualcosa che artisticamente o architettonicamente non l’ho convinceva diceva sempre di accusare un mal di testa come se il suo organismo reagisse alle brutture che i suoi organi di senso percepivano. Ha saputo unire la sua passione per la cucina con l’attività medica specializzandosi in dietologia e, credendo nel supporto delle nuove tecnologie e nell’uso del pc, ha aperto uno studio medico tutto suo che già il nome era tutto un programma “DIETA BIT”.

Ma la sua vera grande dote è stata quella di saper curare le relazioni e cercare di tessere sempre nuove amicizie e conoscenze. Era schietto Mino ma non aveva pregiudizi né tanto meno ti giudicava. Amava la compagnia anche di chi non la pensava come lui perché nella diversità trovava motivo di confronto e crescita.
Spesso le chiacchierate iniziate in sede o nel suo studio finivano a notte inoltrata davanti ad un piatto di pasta e un buon bicchiere di vino. A volte gli dicevo: “Mì, vorrei metter un po’ di peso come devo fare?“e lui mi rispondeva con il sorriso “ieni cu mei la sera e vi comu grassi”. Si parlava sempre di tutto, di scautismo ma non solo, di come voleva trovare il modo di creare qualcosa per i giovani che andavano via per lavoro, di come far tornare al sud le menti brillanti di tanti ragazzi che avevano camminato con lui, di come poter creare una cooperativa per i disabili occupandosi di smaltimento di rifiuti e riciclaggio (la decennale esperienza con la raccolta della carta straccia e dell’alluminio avevano fatto scuola e aperto la mente a tanti possibilità). E ogni volta ci dicevamo che ci saremmo svegliati con il rumore di chi stava già realizzando la nostra idea.

Mino sapeva dar fiducia e coraggio, affrontava le situazioni con positività e cercava di trasmettere quella sua serenità, sapeva far emergere ciò che di positivo e buono c’era in ognuno di noi. Qualcuno gli diceva a volte: “Mì ma io sto facendo già tante cose, prendere anche questo impegno” e lui rispondeva: “proprio perché fai già tante cose sono sicuro che riuscirai a fare bene anche quest’altra, chi non fa niente e non vuole fare niente difficilmente farà bene”. Spesso diceva: “quando hai un problema, pensa ad un problema più grande e vedrai che quello iniziale ti sembrerà più facile da affrontare”.

A volte poteva apparire cinico e razionale ma le sue letture sugli eventi e le situazioni erano pertinenti, logiche e se vogliamo anche cariche di umanità. Ricordo ancora quando gli dissi: “Mì non vengo in route, mio cugino ha fatto l’incidente, è in coma”, dopo avermi tranquillizzato e compreso le mie ansie e preoccupazioni e mostrato il suo dispiacere mi disse: “ma restando qui cosa potrai fare? Potrai andare in ospedale? Sei necessario qui ora? Forse è meglio se vieni in Route e sfrutti questo momento per fare silenzio dentro di te e pregare” e io risposi: “Ma se succede qualcosa?” e lui con un tono di rimprovero mi rispose: “Intanto devi avere fede e non pensare già che succederà qualcosa, ma se ciò accadrà affronteremo la situazione sul momento”. Non sbagliò, non solo le cose andarono per il meglio ma in quella route Mino mi fece scoprire il valore di chiamare Dio “Abba, Padre”.