Testimonianza di Gianni Sardelli
“Stile. Pensare a Mino, ai tanti momenti che abbiamo condiviso, alle idee e gli orizzonti che abbiamo sognato mi ha docilmente accompagnato verso la rilettura del periodo che ha orientato il mio essere oggi.
Per dare una lettura univoca ai tanti ricordi che mi parlano di Mino, ho cercato semplicemente di appuntarli attribuendogli un insegnamento, la vista di “un modo di essere” che penso abbiano permeato come uomo me insieme a tanti amici.
Responsabilità. Estate 1977 campo di reparto, eravamo ad Alfedena con Mino Capo Reparto io Capo Squadriglia Tigre di ritorno in pullman dal Lago di scanno. Scendendo dal pullman ci accorgemmo che Fabrizio D. non era con noi e che probabilmente dormiva beato sul pullman. Nessuna scena di panico, ne di isteria, con freddezza venne Mino da me mi disse: <<Sei tu il Capo Squadriglia, vai a cercare il tuo squadrigliere, noi ti aspetteremo al campo.>> A 15 anni partii a piedi a cercare Fabrizio, lo trovai in lacrime una decina di km a valle e tornammo insieme al campo a notte fonda, era li che ci aspettava. È il coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore?
Fiducia nell’uomo. 1982, prime esperienze da educatore (inconsapevole) come aiuto di Mino in Reparto. Si parlava di incarichi e ruoli nel Reparto; quando si trattò di decidere il cassiere Mino propose A. che per discendenza genetica (leggasi famiglia) e notorietà acclamata era molto interessato alle tasche altrui (molti ragazzi del nostro reparto venivano da famiglie povere e disagiate e a volte da famiglie già allora complesse); ci fu una sollevazione di tutti i ragazzi e lui fece riferimento al “5% di buono” che B.P. asseriva ci fosse in ogni ragazzo. Mai scelta fu così felice, non mancò mai un centesimo, ogni ragazzo portava sempre la sua quota e ora quel ragazzo ha lavoro e famiglia. È il coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore?
Protagonismo nella storia. Un giorno mi propose un campo di lavoro in Albania: <<c’è un orfanotrofio e tanti bambini che … … portiamoci i ragazzi.>> Passa qualche mese ed esordisce con l’idea del campo profughi in Slovenia con il Clan. Tuffarsi nella storia, vivere il tempo dalla parte degli ultimi, al loro servizio, è stato profetico per tanti di noi, oltre che aver concretamente contribuito alla crescita del pensiero socio-politico di tanti giovani inducendo lo stile del toccare con le proprie mani la realtà senza limitarsi all’ascolto passivo (vedere, giudicare, agire). Ahimè allora non ne avevo colto la portata, ma nel ’96 ho portato il mio Clan (veneto) a Pola in un campo profughi e un rover di quel Clan è poi diventato il responsabile del “Progetto Balcani” che ha consentito a centinaia di giovani italiani di vivere esperienze di servizio e di vita fuori dal comune riportando nel proprio territorio esperienze e valori di indubbia valenza. È il coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore?
Guardare oltre. Erano gli anni bui per Mesagne, l’eroina aveva preso tanti ragazzi e le persone perbene ne stavano lontani – era meglio non avere a che fare. Gli chiedono un intervento d’urgenza di notte e viene a contatto con il centro per tossici di Restinco. Incominciamo a frequentarlo e incontriamo tanti giovani chiusi nella loro storia che mi portano a guardare con occhi diversi ma più attenti all’uomo; ci fa interrogare sul nesso tra regole e libertà, tra legge divina e legge dell’uomo, ci portiamo i ragazzi del Clan, ci portiamo la zona Agesci; si apre un’altra strada si tende la mano ad altri uomini e donne. È il coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore?
Il cerchio inaspettato. Ormai non c’era più posto nell’aereo e rassegnati abbiamo prenotato per il giovedì successivo, ma … c’era ancora, irriconoscibile ma c’era (lo troviamo sotto la porta della sua stanza, lo abbiamo riconosciuto a fatica). Ci ha accolti con un sorriso spiegando a GM la sua situazione e come se il dolore non facesse parte di quest’ultima sua esperienza; ci ha lasciato senza parole.
Il giorno dopo ci siamo ritrovati con Don Angelo e qualche amico/a in cerchio a pregare e recitare il “Padre Nostro” insieme a lui, concludendo come se fosse il cerchio serale di uno dei tanti fuochi condivisi sotto le stelle. Sorrideva silenzioso e poi ha preso il suo zaino ed “partito”. Cosa ci avrà voluto dire? È il coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore?
Mi convinco sempre di più che l’eredità più grossa che ci ha lasciato Mino è la capacità di aprire strade nuove lasciando poi agli altri il compito e il gusto di percorrerle, di renderle concrete e feconde rimanendo sempre nella logica di “stare dalla parte del più debole” e che “la peggiore libertà è sempre meglio della migliore dittatura” (lunghe discussioni serali in villa su questo tema). Sapeva seminare, ma sapeva anche mettersi da parte, lasciando agli altri vivere il successo, pronto comunque ad apparire per sostenerti lasciandoti comunque la libertà dell’errore. Sapeva parlare con tutti, grandi e piccoli, con trasparenza ironia e pericolosa schiettezza (la scuola di Don Daniele Cavaliere).
Ma il filo conduttore che lega i ricordi che ho di Mino è senza dubbio la capacità di incidere sull”IM POSSIBILE”, di rendere sogni e idee POSSIBILI nonostante tutto, nonostante la pioggia negli occhi, il freddo della notte, il pensiero dei più e le rinunce da fare! Senza che noi (io e tanti amici, scout e non) ne fossimo consapevoli, abbiamo attinto a questo stile facendolo nostro e se guardo a tanti di noi, ne trovo evidenti tracce. Si proprio di tracce si parla, ossia quelle che lui ha lasciato dietro di sé e se le sappiamo leggere e rileggere giorno per giorno sarà difficile perdersi, ci scorgi un Vangelo vissuto ancora oggi. Ci trovi la gioia di vivere e il gusto di condividere con tutti le proprie preziosità. Non ultimo ritorna il ricordo della sua semplicità nei rapporti e le piccole emozioni condivise: le sue grappette chiusi in tenda prima di addormentarsi in attesa di un’altra avventura il giorno dopo e la cena a base di funghi all’acquaro in un’uscita di Alta Squadriglia. Ci aggiungo anche la breve convivenza con noi a Matany nell’inverno del ’91, che bello!
Rimane il tarlo se abbia dominato il “coraggio dell’educatore o l’incoscienza di un sognatore”, ma so di certo che Mino ha saputo individuare e interpretare le frontiere del tempo su cui portare le nuove generazioni in aperta antitesi con la spinta all’omologazione e appiattimento dominante, alla ricerca di “strade non asfaltate e facili letture che non costano nulla …”. Ma rimane anche l’immagine di un uomo con lo zaino in spalla, in cima alla salita del Subasio all’ingresso dell’Abbazia di San Benedetto che … …