Testimonianza di Marcello Martinelli
Mino, un fratello scout, un amico, un “compare”
I principali aspetti che caratterizzavano Mino sono facilmente desumibili dal rapporto che avevamo costruito, attraverso la condivisione innumerevoli esperienze scout vissute insieme. Quest’ultime mi hanno arricchito interiormente e mi hanno fatto comprendere realmente d’aver con lui sperimentato il Vangelo dell’amicizia, di cui lui è stato testimone. Questi due aspetti hanno accresciuto in me e mia moglie, il desiderio di sceglierlo come “Padrino”, cosiddetto “Cumpari”, per la Cresima di nostro figlio Francesco.
In passato la scelta dei cosiddetti “Cumpari” e “Cummari” aveva un profondo significato: quello di affidare a persone degne e fidate, il compito di vegliare sui propri adolescenti, divenendo per loro dei “Tutori” e i “Testimoni” a tutti gli effetti, in assenza e in presenza dei genitori.
Oggi questa scelta è divenuta prettamente laica, legata ad aspetti materialistici e opportunistici, svuotata del significato Cristiano di divenire sostegno ai sacramenti del Battesimo, Cresima e Matrimonio.
Io e mia moglie, legati da sempre al significato cristiano che la scelta del Padrino/Madrina rappresenta, non abbiamo mai scelto in modo casuale o dettato dalla convenienza, ma, al momento della “Cresima” di nostro figlio, abbiamo naturalmente ricondotto la nostra scelta a Mino.
Ricordo con gioia il momento in cui ha accettato la nostra proposta senza esitazioni, dimostrando di non aspettare altro.
Nel ruolo “Cumpari” si è sempre dimostrato di una presenza oculata e discreta, mai invadente, che mai ha smesso di esercitare, nemmeno poche ore prima di morire trovandosi in un letto di ospedale trovò la forza di dire a mio figlio: “mi raccomando sciuscé!”.
Il cammino di fratellanza scout e di amicizia che fino ad allora avevo condiviso con Mino, quando è diventato “Padrino” si è esteso a tutta la famiglia.
Quest’ultimo aspetto ha concretizzato ancor più intimamente l’esperienza del “Vangelo dell’amicizia” che insieme avevamo condiviso, poiché l’amicizia si scopre come valore indispensabile della nostra vita, di cui non possiamo fare a meno se vogliamo dare un significato alla nostra esistenza.
Il Vangelo dell’Amicizia si concretizza nell’amore che doniamo nei nostri rapporti di intimità verso le persone con cui condividiamo gioie e dolori, a cui mostriamo le nostre fragilità, le nostre debolezze ma anche l’orgoglio, le nostre doti e le nostre capacità.
Esso implica l’apertura del proprio cuore e l’attenzione all’ascolto dell’altro.
Ricordo ancora le riunioni di comitato di zona AGESCI che si svolgevano a casa mia perché mia moglie era incinta e che si alimentavano di un’autentica convivialità, fatta di belle mangiate ed altrettante bevute, a cui Mino arrivava sempre per primo e ci lasciava per ultimo; questo era il suo modo di curare la nostra amicizia ed il nostro legame “speciale”, donandoci quello che per lui era il tempo “necessario” e fuori dagli schemi di cui entrambi avevamo bisogno.
Il Vangelo dell’Amicizia contempla la conoscenza reciproca e la schiettezza nel dire le cose come sono, quelle positive e quelle che non lo sono tanto, proprio perché ci si vuole bene. Mino non era “politicamente corretto”, curava molto il rapporto di amicizia, ma diceva le cose con molta chiarezza, a volte anche spiazzandoti; chi ti ama e ti stima, infatti, non si schiera con te a “prescindere”, ma a volte ti rimprovera aspramente.
Altro aspetto fondamentale del Vangelo dell’amicizia è il donarsi agli altri, nelle varie forme possibili e Mino ha donato il suo tempo ed il suo impegno all’AGESCI, alla Chiesa ed anche alla Politica, perché ha sempre creduto “nell’esserci” e nello “sporcarsi le mani” in prima persona. La sua scelta di non crearsi una famiglia è frutto dell’impegno profuso verso gli altri nella consapevolezza che questa scelta non gli avrebbe permesso di dedicare il tempo necessario a se stesso e ai suoi cari. Ha colto il progetto di vita che il Signore gli ha indicato e lo ha fatto suo.
A tal proposito, scherzosamente diceva: “non sono sopportabile, non voglio mettere in croce nessuno, preferisco essere libero”.
Uno degli aspetti più belli del rapporto di amicizia con Mino, era la sua giovialità e la sua capacità di farti ridere; era una persona estremamente allegra, anche nei momenti difficili. Traspariva in lui quella dimensione della speranza e di gioia che dovrebbe pervadere la vita. Spesso ci raccontava moltissimi e divertentissimi aneddoti dei suoi pazienti che affollavano il suo studio medico, la maggior parte dei quali erano anziani.
Con la sua empatia, riusciva a trasformare i pazienti in medici e lui, medico, in paziente.
Ad esempio, se il paziente esordiva – “Dottò, so tre giurni ca mi fannu mali li asche e li muddicazzi ti li iammi” – Mino rispondeva prontamente: “mamma signò statti zitta ca avi na sittimana ca mi sta crepa la capu” – e il paziente allora concludeva: “Dottò sa c’è tta pigghiari, li cumpressi di Ketodolly e ti passa subbito”. Questo suo non prendersi mai sul serio rendeva i suoi legami mai scontati, intrisi di leggerezza e gioiosità.
In conclusione posso dire che la precoce scomparsa di Mino, è stata per me la scomparsa del fratello maggiore che ho sempre desiderato e che ho avuto la fortuna di incontrare, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti e con cui ho avuto un legame speciale, che va al di là di quello meramente sanguigno.